La Presidente CADIAI Giulia Casarini: quarantuno anni, un percorso cominciato come educatrice, un passato da Assessora del Comune di Monte San Pietro (Bo) e una lunga esperienza in CADIAI. È la settima Presidente della Cooperativa e succede a Franca Guglielmetti, al vertice per cinque mandati.
Nel 2024 CADIAI compie 50 anni di attività: come sintetizzare un bilancio di tanti anni in tre parole chiave?
Lavoro: Cadiai nasce come cooperativa di produzione lavoro da 24 donne e 3 uomini che si uniscono per tutelare il proprio lavoro che allora era quello di assistenti domiciliari. Oggi Cadiai conta 1754 dipendenti di cui l’82.4% a tempo indeterminato che significa lavoro stabile e qualificato.
Cura: in ottica di professionalizzazione del lavoro di cura che si traduce in formazione e qualificazione dei lavoratori e delle lavoratrici con un conseguente impatto sugli utenti, sulle famiglie e sul contesto tutto generando innovazione, stabilità e continuità nei servizi.
Territorio: in ottica di relazione con gli enti committenti, le realtà associative che animano le comunità, i gruppi informali e i singoli cittadini. Servizi cresciuti e da sempre aperti alle relazioni con il territorio.
Quali sono stati i principali impatti dell’intervento di CADIAI in questi 50 anni sulle famiglie della città di Bologna?
L’attività di Cadiai e dei suoi servizi è cresciuta assieme al welfare di Bologna e provincia: abbiamo contribuito alla costruzione del servizio di assistenza domiciliare (basti pensare che il ruolo di assistente domiciliare è stato riconosciuto, per la prima volta nella storia, a Cadiai dall’allora Ministro del Lavoro Tina Anselmi), siamo arrivati alla gestione complessiva delle residenze per anziani passando attraverso forme anche molto innovative di partnership pubblico private, abbiamo contribuito all’ampliamento dell’offerta 0-3 su Bologna e provincia attraverso la sperimentazione di finanze di progetto, abbiamo sperimentato e consolidato la continuità 0-6 nei servizi all’infanzia, senza contare la partecipazione di Cadiai alla chiusura del manicomio con la nascita di servizi ad hoc quali i primi gruppi appartamento per persone con disabilità.
CADIAI è femmina: non solo nella figura della presidente, ma anche nelle donne (oltre 85%) che sono impiegate nei suoi servizi. C’è un valore aggiunto in questa caratteristica?
Se oggi in Cadiai siamo circa 1500 donne pensate a quante, complessivamente, sono state le donne che hanno lavorato in Cadiai in 50 anni di attività: sono colleghe che hanno trovato un lavoro stabile, che ha permesso in alcuni momenti storici una autonomia economica, una crescita culturale, che ha contribuito alla loro e alla nostra emancipazione e autodeterminazione, una formazione personale e professionale che ancora oggi portiamo avanti. Non si tratta quindi “solo” di aver contribuito a togliere dall’angolo il lavoro di cura professionalizzandolo e chiedendone il riconoscimento: attraverso questo percorso, su cui va sempre tenuta alta l’attenzione, abbiamo contribuito a quell’evoluzione culturale e civile che ha visto il ruolo della donna cambiare nel tempo.
CADIAI e Fondazione Dopo Di Noi hanno avviato da anni un’importante collaborazione. Per la Fondazione ciò significa avere un partner importante e solido con il quale confrontarsi sui progetti avviati e da avviare. Per CADIAI?
Per Cadiai è una collaborazione di grande interesse e stimolo che ci permette di corrispondere ad uno dei punti cardini della nostra mission: soddisfare al meglio i bisogni delle persone con interventi personalizzati e di qualità e, al contempo, contribuire all’interesse generale della comunità. Questo significa un rapporto, quello con la Fondazione, che ci permette di fare rete, di progettare e sperimentare formule di servizi differenti da quelli più tradizionali. È un’opportunità per nostri lavoratori e lavoratrici, per la rete che ogni volta si crea ed è un modello culturale che si sta consolidando nel tempo a cui siamo orgogliosi di contribuire.
Quali prospettive future nel campo degli interventi a favore delle persone con disabilità intellettiva? Come applicare la legge 112/2016 del Dopo di Noi, che prevede progetti di vita indipendente, in un contesto di risorse scarse e di modelli di servizio basati sull’istituzionalizzazione?
Il modello che la Fondazione assieme a noi sta portando avanti sta registrando interesse e sappiamo che altre realtà e altri territori lo stanno replicando. Questa è sicuramente una risposta a questa domanda complessa: coinvolgere direttamente le famiglie, immaginare percorsi calati sul territorio, sulle singole esigenze di un gruppo, attivando reti potenzialmente differenti ogni volta (pensiamo solo all’abitare) che, da un lato, stimolino una riflessione e un investimento su questi servizi da parte dell’Ente Pubblico, specialmente in un periodo di grande attenzione alla co- programmazione e co-progettazione, dall’altro rendano partecipanti realmente attivi e quindi responsabilizzati tutti gli altri attori, a partire dalle persone con disabilità e le loro famiglie per coinvolgere gli enti del Terzo Settore e una pluralità di soggetti che possono essere coinvolti.